Tutela del Consumatore
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Approfondimenti
Il Codice del Consumo, adottato con il D. Lgs 206/2005, ha introdotto nel nostro ordinamento una specifica regolamentazione in materia di tutela del consumatore, considerato come il contraente debole a cui viene riconosciuto una particolare tutela, motivata dalla posizione di svantaggio in cui si trova rispetto al proprio contraente-interlocutore, identificato nella figura dell’imprenditore e del professionista.
L’articolo 3 del Codice del Consumo contiene la definizione di consumatore e così recita: “Ai fini del presente codice, ove non diversamente previsto, si intende per consumatore o utente la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta“. La norma chiarisce come i requisiti necessari per individuare la figura del consumatore sono essenzialmente due: deve trattarsi di una persona fisica e non deve agire per scopi professionali. La prima caratteristica è stata confermata anche dalla sentenza del 22 novembre 2001, n. 541 con cui la Corte di Giustizia Europea ha sancito apertamente il principio per cui la nozione di consumatore si riferisce esclusivamente alle persone fisiche. Riguardo alla seconda, la Corte di Cassazione ha ribadito nel luglio 2008 (Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2008, n.18863) che è consumatore la persona fisica che, pur svolgendo attività imprenditoriale o professionale, conclude un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di tale attività. Con questa pronuncia si è affermato il principio per cui l’applicabilità della disciplina in oggetto presuppone un’indagine sullo scopo dell’atto posto in essere dal contraente, per cui si afferma la distinzione tra le esigenze professionali e le necessità della sfera privata, personale o familiare del contraente, concludendo nel senso che se si è in presenza di queste ultime si possa ritenere applicabile la disciplina di favore prevista per il consumatore.
In posizione speculare a quella del consumatore si pone la figura del professionista, ossia di colui che il Codice del Consumo definisce la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario.
Di fondamentale importanza nei contratti tra consumatori e professionisti è la disciplina relativa alle clausole vessatorie che trova la sua origine in ambito comunitario. Oggi la disciplina in tema di clausole vessatorie è contenuta negli articoli 33, 34 e 37 del Codice del Consumo. L’articolo 33 recita: “nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto“. Questo articolo si riferisce non solo ai contratti, ma anche agli atti unilaterali predisposti dal professionista a contenuto patrimoniale, quindi, è intesa come applicabile ad ogni negozio tra vivi a contenuto patrimoniale.
L’espressione “malgrado buona fede” significa che, quand’anche in capo al professionista il giudizio sulla buona fede abbia risultato positivo, ciò non esclude che la clausola rimanga abusiva purché esistente l’elemento oggettivo del significativo squilibrio contrattuale. Dall’esame della norma emerge chiaramente come il carattere vessatorio della clausola abbia come suo elemento costitutivo il c.d. “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. Lo squilibrio a cui fa riferimento il legislatore non è quello economico, ma quello normativo: inteso come abuso di potere regolamentare da parte del professionista, realizzato attraverso l’inserzione di clausole che rendono obiettivamente gravosa la posizione del consumatore all’interno del reciproco rapporto contrattuale di diritti e obblighi.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi sul punto, affermando univocamente che è da escludere la possibilità che il sindacato del giudice si estenda al profilo della convenienza economica dell’affare, atteso che è nella piena disponibilità delle parti la determinazione dell’oggetto del contratto e l’individuazione della prestazione cui è tenuta ciascuna parte, purché il consumatore sia posto in condizione di comprenderne il significato e la portata.
Il legislatore ha però omesso di indicare in forma esplicita i criteri per l’accertamento della vessatorietà di una clausola presente in un contratto tra consumatore e professionista: questa “dimenticanza” è frutto della scelta di non restringere la tutela ad un settore che conosce contratti sempre nuovi. In ogni caso l’articolo 34 del Codice del Consumo esclude che possano ritenersi vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge, ovvero disposizioni di principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell’Unione Europea o l’Unione Europea, nonché le clausole che siano state oggetto di trattativa individuale.
La trattativa individuale può considerarsi integrata, secondo la giurisprudenza dominante, solo quando il testo della clausola sia frutto di un’elaborazione congiunta da parte dei contraenti, ovvero, pur essendo stato predisposto unilateralmente dal professionista, questi si sia reso effettivamente e concretamente disponibile ad apportare le modifiche richieste dal consumatore o comunque negoziate nel puntuale rispetto dell’autonomia contrattuale. L’onere della prova sulla non vessatorietà di una clausola ricade in capo al professionista e, qualora una determinata clausola contrattuale risulti abusiva, l’art. 36 del Codice del Consumo ne sancisce la nullità relativa, ovvero quella nullità che può essere fatta valere in giudizio solo dal consumatore a suo esclusivo vantaggio poiché non travolge l’intero contratto il quale resta valido e vincolante per tutto il resto. È vero comunque che il giudice può rilevare d’ufficio l’abusività della clausola ma solo in termini di supplenza rispetto ad una difesa da parte del consumatore che potrebbe essere carente: si tratta cioè di una forma di garanzia ulteriore.
Infine l’articolo 37 riconosce in capo ad alcuni soggetti giuridici come “le associazioni rappresentative dei professionisti e delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura” la legittimazione a richiedere al giudice competente di inibire al professionista l’utilizzo nei contratti, dallo stesso predisposti per la negoziazione con i consumatori, di quelle clausole di cui sia accertata la vessatori età ai sensi di quanto disposto nel Codice del Consumo. Si tratta comunque di azioni che rappresentano uno strumento processuale accessorio ed integrativo rispetto alla tradizionale azione individuale che ciascun consumatore può comunque promuovere nei confronti del professionista responsabile.